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Api, bambine cotone: una gran confusione
L’articolo di Antonella Barina sul Venerdì di Repubblica del 17 luglio associa erroneamente due problemi: il declino delle api e lo sfruttamento delle bambine per la coltivazione del cotone in India. I due problemi esistono, ma non sono collegati. L’India compete con la Cina per essere il maggior produttore mondiale di cotone. Al contrario della Cina, utilizza soprattutto sementi ibride, sviluppate in India dagli anni 70 e ora preponderanti in questo Paese. Le varietà ibride sono il prodotto dell’incrocio controllato di due diverse linee pure (genotipi completamente omozigoti) e sono più produttive e resistenti agli stress ambientali rispetto alle varietà non ibride. Il fenomeno biologico alla base di queste caratteristiche, denominato vigore ibrido o eterosi, è conosciuto da oltre un secolo e utilizzato in molte altre colture, fra le quali il mais e il pomodoro. Per garantire che i semi ibridi siano effettivamente il risultato dell’incrocio desiderato bisogna portare il polline di una linea pura sui fiori dell’altra, escludendo polline indesiderato. A questo fine esistono varie metodologie, ma la più usata e sicura è l’eliminazione manuale della porzione maschile dalla pianta che produrrà il seme ibrido e la fecondazione aggiungendo il polline della linea pura giusta. Questa operazione è più o meno laboriosa a seconda di come sono fatti i fiori della pianta in questione: è più semplice per il mais, ma molto complicata e dunque anche costosa per il cotone; per questo gli ibridi di mais sono molto più diffusi di quelli di cotone. L’India però, e qui veniamo al primo problema esposto da Barina, storicamente sfrutta la manodopera infantile in molteplici attività, soprattutto in agricoltura. Nel caso specifico, questa piaga sociale permette all’India di produrre semi ibridi a basso costo.
Le api dunque non hanno un ruolo nel produrre il seme ibrido di cotone: l’impollinazione da parte delle api non può essere controllata e mirata verso la scelta del polline giusto e la giusta pianta da fecondare. Quindi, l’affermazione che in India le api siano “state sostituite da persone in schiavitù” è errata e induce ad un’associazione che non esiste tra una piaga sociale e il problema ecologico del declino degli insetti impollinatori, fra i quali le api citate come secondo problema nell’articolo. Questo declino ha molteplici cause, le quali si influenzano l’una con l’altra: la comparsa e diffusione globale di patogeni e parassiti delle api, la difficoltà delle api ad accedere a fiori selvatici causata dall’espansione dell’agricoltura e la conseguente contrazione di fioriture naturali, nonchè un eccessivo utilizzo di fitofarmaci in agricoltura. Sono tutti problemi complessi da affrontare, ma se anche le api non fossero minacciate da questi fenomeni e le loro popolazioni fossero molto più abbondanti, nulla cambierebbe per la produzione di ibridi di cotone e per lo sfruttamento delle bambine indiane.
Concludiamo con un aspetto generale e importante. Quando si scrive di agricoltura, di piante, della loro coltivazione e di genetica, ci si occupa di fenomeni e attività non meno complesse di quelle delle più sofisticate attività industriali, che richiedono competenze approfondite: purtroppo le soluzioni semplici, apparentemente intuitive ma in realtà sbagliate in quanto non comprovate da evidenze causa-effetto, non aiutano a risolvere alcun problema, al contrario confondono il lettore.
Alessandro Vitale
Gruppo Comunicazione della Società Italiana di Genetica Agraria.
Milano, 20 luglio 2020