Comunicati Stampa e Lettere
Data: 17/10/2019
Il Presidente SIGA risponde all'articolo di Salvatore Ceccarelli apparso sul Corriere della Sera il 21 settembre 2019: "I dubbi sugli OGM in agricoltura".
Caro Direttore,
desidero intervenire nel merito dell’articolo del Dott. Ceccarelli pubblicato sul Corriere in data 21 Settembre, intitolato “I dubbi sugli OGM in agricoltura”. In realtà l’Autore sembra avere ben pochi dubbi, e la tempistica dell’articolo appare scelta ad arte. Si riapre infatti una polemica pretestuosa sugli OGM in un momento in cui, in seguito ad una forte mobilitazione della comunità scientifica internazionale, si è aperta una discussione a livello politico per rivedere la normativa relativa alla coltivazione di piante ottenute con la tecnologia del genome editing. Oltre cento università, istituzioni di ricerca pubbliche e società scientifiche di 25 Paesi europei, Italia inclusa, spingono affinchè le piante ottenute tramite genome editing non siano equiparate agli OGM, come avviene adesso, evitando che esse siano sottoposte ad una normativa che di fatto impedisce il loro utilizzo in agricoltura. Le argomentazioni del Dott. Ceccarelli si muovono in spazi molto angusti e omettono elementi essenziali. Non potendo obiettare sulla salubrità dei prodotti vegetali ottenuti da piante OGM, ormai ampiamente documentata, il Dott. Ceccarelli fa coincidere le piante OGM con l’utilizzo del monogenotipo, ovvero la coltivazione di piante geneticamente omogenee, una pratica in atto da circa un secolo e dunque molto prima dell’esistenza degli OGM. Le colture monogenotipo che portano caratteri di resistenza a patogeni, parassiti o diserbanti favorirebbero l’insorgenza di patogeni, parassiti e infestanti resistenti. Il lettore non esperto potrebbe essere indotto a pensare che la “colpa” sia degli OGM. In realtà, la pressione evolutiva che una specie resistente esercita su infestanti o parassiti non è certo un monopolio delle piante transgeniche. Esiste da quando è comparsa la vita su questo pianeta. Le piante, assistite o no dall’uomo, sviluppano resistenza e i parassiti sviluppano “resistenza alla resistenza”, in una continua lotta. E’ proprio una funzione del miglioramento genetico utilizzare la variabilità naturale, o indurne di nuova, per produrre in continuazione nuove varietà con caratteristiche di resistenza sempre più efficaci e durature. Le varietà resistenti, “naturali” o OGM, sono innumerevoli e sono state una costante nella storia dell’agricoltura, sempre ambite dagli agricoltori.
Inevitabilmente esse esercitano una pressione selettiva, e dunque possono causare l’affermarsi di patogeni e parassiti in grado di superare la resistenza, ma rimane tuttavia la soluzione migliore da adottare. Così è anche nella natura incontaminata, come ci insegnano i patologi delle piante. E’ bene anche considerare che, specialmente nel caso di grandi produzioni destinate all’industria alimentare che è un vanto del nostro Paese, l’uniformità del monogenotipo è proprio richiesta dall’industria, che deve garantire uno standard certo di qualità e caratteristiche per la trasformazione – per esempio in pasta o conserva di pomodoro. La contraddizione fra standard di produzione e pressione sull’ambiente è un problema che si cerca continuamente di alleviare, ma imputarlo agli OGM o peggio ancora al genome editing significa distorcere la realtà.
Nel caso delle resistenze e delle “resistenze alle resistenze”, le colture miste di materiale genetico eterogeneo potrebbero avere un vantaggio rispetto al monogenotipo, ma rinunciando alla elevata produttività, che nelle agricolture moderne è realizzabile nella stragrande maggioranza delle specie solo con coltivazioni geneticamente omogenee. Il dibattito sulla coltivazione di varietà monogenotipo o miscele è vivace: soprattutto nei sistemi agricoli più fragili di molte aree rurali dell’Africa, dove gli agricoltori non hanno facile accesso a varietà migliorate adatte alle particolarità di una agricoltura fondamentalmente di sussistenza, la coltivazione di miscele è una pratica che può limitare i rischi di non ottenere un raccolto, ma tutto ciò non ha nessun legame con il dibattito sull’impiego delle tecnologie di miglioramento basate sulla biologia molecolare.
Gli OGM vegetali sono il prodotto di una tecnologia che si è affermata negli anni ’90 del secolo scorso, e le scelte politiche ne hanno ridotto enormemente il potenziale impatto positivo sull’agricoltura mondiale. E qui veniamo al secondo bersaglio del Dott. Ceccarelli: il genome editing. In trent’anni, le tecnologie molecolari sono progredite enormemente e sono ora in grado di offrire delle soluzioni innovative, quali il genome editing, che consente di combinare le caratteristiche positive di varietà diverse della stessa specie o di specie selvatiche affini, o di eliminare caratteristiche alimentari negative. Una volta identificato il gene che conferisce una determinata caratteristica positiva o negativa, si tratta di individuare nella biodiversità della stessa specie le varianti che migliorano tale caratteristica e sulla base di esse “correggere” il gene in questione, evitando sia le classiche serie di incroci tra varietà, lunghe, costose, mai precise e in certi casi praticamente impossibili, sia di “spostare geni” come negli OGM. E’ interessante che alcune, forse numerose, caratteristiche positive sono presenti negli antenati selvatici di parecchie piante ora coltivate. In pratica, il genome editing permette di creare il futuro combinando in modo molto preciso il meglio del passato remoto e del presente. I progetti di genome editing in atto in Italia non riguardano solo la difesa da patogeni e parassiti; includono, ad esempio, tentativi di eliminare proteine allergeniche, aumentare la tolleranza delle coltivazioni a condizioni di eccessiva salinità del suolo, incrementare le sostanze aromatiche e il contenuto di vitamine, aumentare le dimensioni dei semi, sviluppare un frumento adatto ai celiaci; e l’elenco è in continuo aggiornamento. Il genome editing in realtà incrementa la biodiversità delle piante coltivate, non la riduce e tantomeno la minaccia.
Equiparare i prodotti del genome editing agli OGM e questi alle colture geneticamente omogenee equivale a creare una grande confusione che nulla ha a che vedere con la realtà. Partendo da pregiudizi ideologici, il chiaro fine è di impedire sostanzialmente lo sfruttamento delle potenzialità di questa nuova tecnologia e il suo utilizzo in una prospettiva di sostenibilità e competitività globale dell’agricoltura europea, di mantenimento e sviluppo della diversità genetica delle specie coltivate e di miglioramento dell’alimentazione della popolazione europea.
Cordiali saluti.
Mario Enrico Pè,Presidente della Società Italiana di Genetica Agraria