Proceedings of the XLVI Italian
Society of Agricultural Genetics - SIGA Annual Congress
Giardini
Naxos, Italy - 18/21 September, 2002
ISBN 88-900622-3-1
Round
Table Abstract - RT3
IL
DIFFICILE CAMMINO DELL'INFORMAZIONE
CATTANEO M.
Due notizie di cronaca
degli ultimi meritano di essere analizzate sia per le modalità con cui
sono state pubblicate sui quotidiani nazionali sia per un'interpretazione di
come la percezione del rischio da OGM influenzi anche scelte politiche che
potrebbero essere ponderate con maggiore serenità.
1)
All'inizio dell'estate
diversi quotidiani nazionali riportavano la notizia secondo la quale il DNA
modificato contenuto negli alimenti verrebbe demolito soltanto nell'intestino,
attraversando indenne lo stomaco. Secondo alcuni opinionisti (di area
ambientalista), ciò basterebbe a temere che il suddetto DNA possa essere
assorbito dai batteri dello stomaco, che potrebbero risultarne
modificati…
2)
Sul finire di agosto, il
Governo dello Zambia ha comunicato alle Nazioni Unite che se nei prodotti
inviati vi fossero stati OGM avrebbe rinunciato agli aiuti alimentari
(necessari per alleviare la gravità della siccità che da diversi
anni colpisce tutta l'Africa sub-sahariana).
La diversa portata delle
due notizie è evidente, e non necessita alcun commento, ma appare
piuttosto chiaro come la percezione degli organismi geneticamente modificati da
parte dell'opinione pubblica, dei mezzi d'informazione e dei referenti politici
finisca per avere elementi in comune anche in luoghi estremamente distanti e
con culture e società profondamente diverse.
Specchio di una situazione
che merita qualche preoccupazione è il rapporto 2001 dell'Osservatorio
di Pavia "Le agrobiotecnologie nei media italiani", che evidenzia le
lacune di un'informazione orientata al commento (alla doxa, all'opinione) assai
più che ai fatti.
E proprio qui mi pare di
poter individuare una delle anomalie che caratterizzano l'informazione
italiana, sia essa in materia di scienza o di altro. Basta conoscere il
processo di elaborazione della notizia nel mondo anglo-sassone (dove in ogni
redazione c'è almeno un fact checker incaricato della verifica dei fatti) e paragonarlo
alla scadente qualità dei fatti contenuti nei quotidiani italiani per
avere un'idea del diverso peso attribuito nei due "mondi"
all'informazione.
Le stesse considerazioni
valgono in fatto di opinioni. Purtroppo, in un Paese scarsamente scolarizzato
come il nostro - che presenta inoltre evidenti anomalie dovute alla commistione
tra informazione, politica e industria (non c'è un solo grande editore
che faccia l'editore come principale attività) - l'intreccio tra
informazioni e opinioni è inestricabile, e le opinioni vengono spesso
considerate valide "in quanto tali", e non in funzione
dell'autorevolezza della fonte che le esprime.
E',
a mio modo di vedere, una sindrome da "grande fratello", che vede
affermarsi un'erronea concezione di "democrazia informativa", in cui
chiunque può esprimere opinioni su qualsiasi cosa, dal calcio agli OGM.
In
una simile situazione, il messaggio veicolato dall'informazione è tanto
più "accettato" dall'opinione pubblica quanto più
è semplice, e ciò favorisce spesso le distorsioni e gli equivoci.
Soluzioni, all'orizzonte, non se ne vedono. Anche perché sembra di poter
individuare almeno due problemi critici: il primo è il rapporto
fiduciario tra il mondo scientifico e il mondo dell'informazione, necessario
nel momento in cui la maggior parte dei giornalisti che si occupano di
informazione scientifica non ha una preparazione specifica. Il secondo è
una maggiore disposizione da parte del mondo scientifico alla divulgazione.
Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi avanti, rispetto al relativo
isolamento in cui la nostra ricerca si è a lungo trovata, non c'è
dubbio. Tuttavia, se si volge ancora una volta lo sguardo alla tradizione
anglo-sassone, vediamo che spesso manca ancora quella grande capacità di
semplificare concetti che permette di rendere i problemi alla portata di tutti.
Sono
due, dunque, le linee lungo le quali muoversi, sperando che la frattura sia
colmabile entro tempi ragionevoli, perché l'informazione in materia
scientifica non abbia più a subire stravolgimenti che finiscono per
essere di danno anche all'economia. Una maggiore preparazione dei giornalisti,
alla quale stanno contribuendo le scuole di comunicazione scientifica, e un
significativo sforzo da parte del mondo della ricerca.